
Il mercato dei titoli di Stato in Italia è ormai sotto pressione da diverse mesi: siamo passati da uno spread di 113 del 24 aprile scorso a 301 del 2 ottobre, con un incremento pari a circa il 167% in soli 5 mesi. In realtà la soglia dei 300 punti già fu testata il 29 maggio a seguito delle indecisioni sulla formazione del governo e, da allora, il susseguirsi incessante di dichiarazioni politiche, smentite e rettifiche non hanno fatto altro che alimentare la volatilità sul mercato (Chart 1). In questo frangente il mercato azionario, con i testa i titoli bancari, ha sofferto e continua a soffrire: dai massimi di maggio 2017 la perdita del FTSE MIB è di circa il 18% (in 4 mesi). Non vi è dubbio che il clima è diventato più rovente in questi ultimi giorni ed ultime ore, con gli operatori e le autorità Europee che si sono trovate spiazzate dalle previsioni (in bozza!!) di un rapporto Deficit\Pil a +2,4% per il triennio 2019/2021 rispetto a quello tendenziale di + 1,6% che un po’ tutti ormai si aspettavano. In tale situazione di mercato crediamo: a) che i rendimenti sui titoli di Stato italiani continueranno a salire; b) che le dichiarazioni politiche ed il braccio di ferro tra Italia ed Europa manterranno alta la volatilità dello spread e del mercato azionario europeo, con in testa i titoli bancari. Tuttavia, in questi giorni, non stiamo assistendo ad un particolare effetto contagio sui titoli di stato degli altri paesi periferici dell’area Euro e riteniamo molto remota l’ipotesi che si arrivi ad una rottura definitiva che porti l’Italia ad uscire dall’Euro con relativo default per il nostro paese (Chart 2). La crescita economica nella zona euro nel suo complesso è stata abbastanza forte e le vulnerabilità per i paesi periferici sono diminuite. Sembra improbabile che il governo italiano posa virare verso l’uscita dall’Euro. La stessa politica sa benissimo che tirare troppo la corda non conviene e, se qualche componente del governo dovesse spingere troppo in questa direzione, rimarrebbe presto isolato e «delistato» dal governo stesso. Gli stessi italiani in un recente sondaggio a grande maggioranza hanno dichiarato di voler rimanere nell’Euro e soprattutto sono contrari ad azioni che possano mettere a rischio i loro risparmi, pertanto anche per la politica una retorica anti-euro diventerebbe impopolare. Scenari «remoti» Nella fase politica che si sta attraversando, con l’emergere di populismi e movimenti anti-establishment, è più difficile trovare un compromesso, cosa che ha permesso negli anni all’Europa di andare avanti. Se i compromessi diventano più difficili, gli incidenti sono più probabili. L’esperienza Brexit ci dice che è molto difficile smontare quello che è stato fatto perché ci sono dei costi che nessuno vuole affrontare. In caso si dovesse verificare un evento come la disgregazione dell’Euro – o meglio e più semplicemente un ritorno alla LIRA – le conseguenze per il nostro Paese sarebbero palesemente ed evidentemente negative:
1. avremmo da restituire il saldo negativo di Target 2 in Euro (500 Mld €, ossia il 27% del GDP).
2. I tassi sulla Nuova Lira sarebbero come ai livelli della Lira Turca se non di più ed il costo del Debito Pubblico sarebbe insostenibile.
3. Avremmo una svalutazione vs USD in grado di farci importare inflazione a doppia cifra.
4. Le Banche fallirebbero, insieme a molte altre società operative con un rischio Paese elevatissimo, credo superiore a quello sperimentato della Grecia che comunque è rimasta sotto la protezione finanziaria UE e nell’Euro.
5. Lo Stato Italiano dovrebbe mettere un blocco ai movimenti di capitale e ai conti correnti ed una patrimoniale importante. Poi la pressione fiscale salirebbe alle stelle;
6. Probabilmente anche chi avrà diversificato in assets fuori dall’Italia e dall’Euro si vedrebbe applicata una tassazione patrimoniale in caso di utilizzo dei Fondi;
7. Problemi di stabilità politica e sociale.
Svalutazione attesa nello scenario negativo Questo quanto agli effetti più macroscopici, che sono evidentemente negativi e distruttivi, e non certo compensabili con qualche Mld € di export in più. In riferimento agli effetti più diretti sulla svalutazione è ragionevole attendersi una svalutazione della lira stimata intorno al 35% rispetto all’euro; quindi i cittadini perderebbero il 35% del proprio potere di acquisto. Vincoli giuridici Si deve mettere sul piatto il fatto che tecnicamente una uscita unilaterale dall’Euro (non essendo tecnicamente prevista) è molto difficile da fare (Varufakis docet) e che sarebbe subodorata subito dai mercati facendo scontare da subito effetti analoghi a quelli detti di cui sopra. Il vero punto di domanda è se l’uscita dall’Euro è fattibile: allo stato attuale è ancora molto remota tale ipotesi. Come tutelarsi Allo stato attuale è impossibile trovare soluzioni di investimento che possano sfuggire ad eventuali operazioni straordinarie quali patrimoniali su investimenti mobiliari; il legislatore potrebbe colpire anche asset che cittadini fiscalmente italiani detengono all’estero o pensano di trasferire in altri paesi. Sotto il profilo della diversificazione, non vi è dubbio che i portafogli vadano diversificati su base internazionale, sia per la componente obbligazionaria, azionaria e valutaria. Un approccio orientato alla diversificazione degli asset se da un lato non è immune da eventuali patrimoniali, dall’altro è sicuramente più robusto ed adatto a reggere momenti di elevata volatilità sui mercati (ridurre il rischio di controparte diretta e di mercato).
William Mattei
