Sono bastati pochi minuti per entrare in empatia con don Luigi, questo straordinario sacerdote che è riuscito a creare, in un ambiente apparentemente ostile, un rifugio, un’oasi per i naufraghi della vita. Dico “apparentemente” ostile perché, al di là delle apparenze e della cronaca, a Napoli non ci sono ambienti ostili, intendendo per ambiente la capacità di accoglienza, la compartecipazione, la generosità, la collaborazione, la commozione; l’anima di Napoli è un groviglio di contraddizioni: violenza e tolleranza, efferatezza e senso di pietà, cinismo ed emozione. In nessuna parte del mondo ci si ammazza, ci si prostituisce, si utilizzano i bambini (le paranze) per traffici illeciti, e, con la stessa facilità ci si commuove per un evento tragico, per un bisogno collettivo, per collaborare alle necessità urgenti di chi chiede aiuto.
Il grande Pino Daniele, con la sua incisiva e commovente capacità poetica ha descritto tutto ciò in “Napul’è”, sintesi drammatica ed emozionale di una città che vive tra il tragico e il comico, il serio e il faceto, l’ironia e il sarcasmo, l’indifferenza e la pietà. Napoli va vista come “personalità” complessa dell’animo umano, che si è plasmata, nel corso dei millenni, dagli incroci delle genti che l’hanno abitata e che hanno espresso la loro genialità con la creazione di opere d’arte che fanno di Napoli un unicum di genio e sregolatezza.
Don Luigi non ha fatto altro, con la sua caparbietà, coraggio, volontà e passione, che interpretare questa Napoli, sicuro che avrebbe trovato il consenso giusto, la strada per arrivare al traguardo: è nata così la sua creatura, questo rifugio di accoglienza, di amore, di fratellanza, di speranza per un avvenire migliore da dare a queste anime perse non per colpe loro, a questi bambini che avevano smarrito il sorriso, il gioco, l’amicizia, l’infanzia; avergliela restituita è il dono più bello che don Luigi ha fatto e continua a fare ogni giorno, lottando, per sostenere questa opera, contro i pregiudizi, le paure, le minacce. Questo luogo “sacro”, questo tabernacolo, è sorto in un’area che un tempo era la casa degli orrori, e in questo luogo, trasformato da don Luigi in casa di accoglienza, è sorto un centro dell’amore per questi figli di nessuno, qui hanno ritrovato o conosciuto per la prima volta che cos’è la gioia dell’infanzia, il sorriso dell’innocenza, la speranza e la certezza che la vita offre “altro”, non solo la tristezza della solitudine, ma anche la carezza per un sogno di vita nuova.
Si dice che chi fa del bene, chi si impegna per il prossimo, chi è un eroe e combatte contro l’indifferenza, il menefreghismo, l’acquiescenza, sia un insoddisfatto della vita, un narcisista morale che per soddisfare il suo “io” deve preoccuparsi degli altri, e, quanto più arduo è l’impegno più soddisfa il suo egoistico protagonismo; bene, noi vorremmo che di questi personaggi ne fosse piena l’umanità, perché l’egoismo sedentario, l’indifferenza ai problemi del prossimo, la vita con i paraocchi, intesa solo a proteggere se stessi, è la negazione del vivere. Il rischio è di rimanere soli, se il furore umanitario suscitato da queste persone eccezionali viene meno, può crollare tutto l’apparato costruito con fatica e passione, e questo non deve accadere, ognuno, per quanto è nelle sue possibilità, deve contribuire a sostenere quest’opera di misericordia. Don Luigi non deve sentirsi abbandonato, perché anche gli eroi hanno il senso di stanchezza e la voglia di dire basta, e noi tutti dobbiamo sostenerlo anche con un semplice “coraggio don Luigi, non mollare!”.
Pasquale Simonelli
