Siamo tornati in Sicilia, cedendo al fascino non dimenticato del primo viaggio, ed al richiamo di una isola dai mille volti, dai tanti e diversi richiami culturali, estetici, storici, architettonici, e perché nò, culinari.
Un viaggio per conoscere e vedere da vicino quel barocco siciliano con il quale sono risorte le città ed i borghi distrutti dal terribile terremoto del 1693.
Città e borghi che fanno da sfondo e sono i luoghi della fortunata serie televisiva dei racconti di Camilleri e del commissario Montalbano.
Una parte dell’isola che non conosciamo per una esplorazione mordi e fuggi premessa per ulteriori visite.
Il viaggio predisposto dal nostro Club Rotary Alto Casertano Piedimonte Matese, Presidente il dott. Alfonso Marra, ha goduto della organizzazione di Pasqualino Terracciano, perfetta fin nei minimi dettagli, dagli spostamenti in pullman, aereo, guide, albergo e ristoranti. Impresa complessa, non da poco, ma perfettamente riuscita.
Centro del tour è stata la città di Ragusa, la più meridionale dell’isola addirittura più a sud della città di Tunisi.
La fortuna ci ha favorito con un tempo sereno ma non troppo caldo, in una primavera che ricorderemo negli anni per i suoi capricci.
Partiti da Piedimonte ed imbarcati a Napoli, abbiamo raggiunto Catania verso le ore 12.
Dopo uno spuntino in un locale adiacente all’aeroporto siamo partiti per Caltagirone, prima tappa del nostro giro.
Caltagirone: città antichissima arroccata su un colle, punto strategico di controllo delle piane di Catania e Gela e perciò sede ricercata dai popoli che di volta in volta e nel corso dei secoli hanno dominato su queste zone. La conquista normanna del 25 Luglio 1090, “avvenuta per intercessione di S. Giacomo Apostolo”, fu celebrata con la posa della prima pietra della chiesa a lui dedicata. Molte sono le chiese che il visitatore incontra percorrendo le antiche strade, ma il terremoto del 1693 ha lasciato la sua impronta nella ricostruzione in un barocco di grande dignità e bellezza, caratterizzato dal colore della pietra locale che il sole di un sereno pomeriggio accende di caldi riflessi dorati. La grande scala di S. Maria del Monte ci offre l’occasione di una foto di gruppo, ma solo qualcuno si cimenta nella salita, gli altri in vari gruppetti preferiscono esplorare le varie strade che si aprono alla visita.
Tantissimi i negozi di ceramica per la quale Caltagirone viene definita la Faenza di Sicilia.
Non è possibile descrivere nel dettaglio l’intera città, i suoi palazzi, le chiese, le piazze; scendiamo verso i grandi giardini incontrando nel percorso il carcere borbonico, oggi museo civico, incuneato fra due chiese, e poi il monumento a Gualtiero di Caltagirone uno dei protagonisti dei Vespri Siciliani del 1282.
Scendendo fiancheggiamo il convento dei francescani e poi il teatro Politeama ed arriviamo al parco, molto bello e ben tenuto e poi …..via per Ragusa.
Ragusa una e trina: la moderna, quella Superiore, (fondata dopo il fatidico terremoto) e Ibla, quella medievale, e questo già dice quanto sia difficile se non impossibile una sua descrizione sintetica. Il bus ci lascia in zona vietata ed abbiamo il primo contatto visivo con la facciata della chiesa di S. Giuseppe, esempio tipico dell’architettura della ricostruzione, una lunghissima strada in discesa , Ecce Homo, ci porta difilato al nostro Hotel del Lauro ove ci attendono i bagagli.
Con la guida visitiamo l’imponente cattedrale dedicata a S. Giovanni, e le facciate di importanti palazzi nobiliari, il palazzo del comune che fronteggia quello delle poste costruito in epoca e stile fascista.
La città è divisa in due da un profondo burrone scavalcato da tre ponti, al fondo dei quali si osservano case dirute ed abbandonate.
Dal termine di via Ecce Homo si apre il panorama di Ibla, arroccata su un colle difeso da aspre rocce alla base, con al sommo l’antico castello mentre su un’altra sommità si erge la cattedrale di S. Giorgio.
E poi la cena alla Taverna del Lupo, in piazza S. Francesco.
Una cena i cui piatti, soprattutto i primi, non saranno facilmente dimenticati: una cena in allegria che ci fa dimenticare le fatiche della giornata e poi tutti a nanna.
Il giorno successivo, venerdì, ci vede puntuali al bus che ci porta a Donnafugata con tutte le suggestioni legate al ricordo del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Scopriamo che il legame è solo letterario, in effetti il castello sorto su una antica torre arabo normanna fu fatto costruire nel XIX secolo dal Barone Arezzo, in uno stile che ricorda nella facciata il gotico veneziano. La visita interessa una lunga serie di stanze per gli ospiti, arredi ottocenteschi, vesti dell’epoca. Molto bello il parco in stile inglese con giganteschi alberi di ficus che offrono la stimolo per una foto di gruppo.
Partiamo verso le 11 per Punta Secca, un borgo in riva al mare ove si colloca la casa del commissario Montalbano, e che gli sceneggiati televisivi hanno reso famosa.
Il Mare è calmo, il cielo sereno, c’è gente sulla spiaggia e qualche audace fa il bagno: pochi ricordano che proprio qui nel 1944 arrivò la flotta anglo americana per la conquista dell’Isola nella seconda guerra mondiale.
Pranzo a Scoglitti alla Taverna del Pescatore”, e qui si va nel memorabile: 21 portate di antipasti di pesce freschissimo e cucinato in modo superbo, ogni ricordo nella nostra memoria non regge il paragone, e poco importa se i primi piatti, per coloro capaci di assaggiarli non reggono il paragone.
Partiamo per la vicina Scicli, città sorta in epoca bizantina sul colle detto di S. Matteo, ove si vedono ancora i resti del castello e della sua torre. Resisté a lungo ai Saraceni ai quali cedette solo dopo quasi 20 anni nell’864. Rimase per ancora lunghi secoli arroccata su due colli e cominciò la sua discesa al piano solo nel XIV secolo. Centro della città è la scenografica piazza Italia con magnifici palazzi barocchi e dominata dalla grande rupe su cui si erge la chiesa di S. Matteo. Sulla piazza si ergono la magnifica chiesa di S. Ignazio, contigua al monastero dei gesuiti, il palazzo Comunale e la chiesa di S. Giovanni, e poi tanti palazzi nobiliari ed ancora chiese e chiese in una atmosfera di grande serenità. Ma si fa tardi e dobbiamo rientrare.
Apericena in Hotel? La sorpresa c’è eccome! Una chitarra, un mandolino, uno zufolo e quattro siciliani a spiegare “la sicilianità”, il linguaggio, la sensibilità: il canto femminile come rivendicazione, protesta affermazione, il ballo come momento di allegria spensierata che invita e travolge il presidente nostro e altri ospiti, e poi i dolci ed i vini siciliani. Tutto bello e coinvolgente.
Sabato 27 è una giornata impegnativa, si va a Noto, la capitale del barocco e poi a Modica.
Cosa dire? C’è solo da vedere.
Noto: una città nuova sorta a 10 Km dalla precedente distrutta da un sisma apocalittico, costruita ex novo in pianura, con strade ad angolo retto orientate est-ovest perché il sole le illumini sempre, città d’arte e di cultura che ne hanno fatto un “PATRIMONIO DELL’UMANITA’”, una città non da descrivere ma da vedere e forse anche da vivere.
Tanti ed imponenti i palazzi nobiliari, e poi la cattedrale al vertice di un alto ed imponente scalone, ma soprattutto quel colore ocra dorato, dovunque dominante che ispira una luminosa serenità. Una uniformità architettonica assolutamente unica che incanta ma che dopo qualche tempo induce noi, avvezzi ai multiformi aspetti delle nostre millenarie città a sorvolare colpevolmente su molti ed importanti dettagli.
Si entra in città dal monumentale arco trionfale eretto nel XIX secolo alla cui sommità al centro si trova un pellicano simbolo di fedeltà al Re dell’epoca Ferdinando di Borbone, mentre ai due lati si trovano a destra una torre, simbolo di fortezza ed a sinistra un cane cirneco simbolo di fedeltà. Dall’arco parte la strada principale intitolata, ricorrente ironia della storia, al nuovo recente re: Corso Vittorio Emanuele.
Per le vie c’è tanta gente, turisti e visitatori affollano strade, bar, negozi. La guida ci conduce, narra e spiega. Il mezzogiorno arriva presto e ci spostiamo a Modica.
Pranzo all’Osteria dei Sapori perduti e poi visita veloce della città dalle antichissime origini e con una storia che sarebbe tutta da narrare. Ricordiamo solo che fu centro politico amministrativo di grandissima importanza e tale da vedersi riconosciuta come “Regnum in Regno”. La giriamo con un trenino che si inerpica sulle colline dense di costruzioni, che formano un grandissimo anfiteatro sul piano centrale monumentale. Anche qui trionfa il barocco settecentesco della ricostruzione post sismica, stilisticamente identico a quello di Noto. Come a Ragusa abbiamo quindi una Modica Alta ed una Modica Bassa, ricchissime entrambe di chiese e palazzi monumentali. Qui manca la folla di Noto, ed il “trenino”ci porta per strade in cui regna il silenzio, e dalle quali si aprono finestre su panorami stupendi con la città ai nostri piedi. Umberto come sempre ha un gran da fare con la sua macchina fotografica.
Segue la visita all’antica fabbrica di cioccolata Bonajuto con relative dimostrazioni, assaggi ed ordinativi.
Rientriamo a Ibla e ne subiamo ancora una volta il fascino mentre saliamo verso la cattedrale di S. Giorgio che si staglia, imponente contro il sole calante che l’arricchisce di ombre e di luci dorate. Entriamo e ne ammiriamo i dettagli, la statua colossale, il catafalco processionale.
La sera tutti alla pasticceria “da Pasquale” per gli assaggini, dolci, aperitivi, tutti semplicemente splendidi.
Domenica siamo a Siracusa zona archeologica, ove passiamo la mattinata, il sito è troppo noto perché vada ricordato, io vi mancavo da tanti anni ma ricordavo perfettamente il teatro greco, l’orecchio di Dioniso e la parte oggi chiusa alle visite come la grotta dei cordari e le latomie, e poi la zona romana. Certo Siracusa non si può esaurire in un giorno e nemmeno due per tutto quello che c’è da vedere.
Ci spostiamo ad Ortigia e poi ci ritroviamo nella grande piazza della cattedrale che ingloba e ripete nell’impianto l’antichissimo tempio greco di Atena.
Ammiriamo ancora una volta le grandi colonne doriche che da 25 secoli vedono ai loro piedi passare le generazioni degli uomini, vestano il chitone, la tunica o i jeans, per pregare, vedere o ammirare.
La facciata del tempio à stata restaurata come tutti gli edifici che circondano la grande piazza che si presenta in tutta la sua imponente bellezza in un giorno di splendente sole primaverile.
Poco più giù ed ecco in riva al mare, la fonte Aretusa, il miracolo di una sorgente d’acqua dolce nella quale rigoglioso cresce il papiro e si fa viva la leggenda di Alfeo e la presenza di Ovidio e con le sue Metamorfosi. E se guardi il mare puoi forse ancora vedere le vele delle navi fenicie, greche, cartaginesi, romane, saracene, visigote, bizantine, arabe spagnole e poi le corazzate angloamericane nel continuo fluire del tempo.
Ma è ora di tornare. Alle 22 l’aereo atterra perfettamente a Capodichino: siamo a Casa.
Cosa ci rimane di questo viaggio cosi breve, così intenso, e perciò così lungo? Il piacere della compagnia di amici, la conoscenza diretta di luoghi sconosciuti e di bellezze ignote.
Ma a pensarci bene ci sono suggestioni più sottili che ci ha dato questa splendida cavalcata: panorami per noi insoliti, chilometri e chilometri di territorio disabitato sullo sfondo sfumato dei Monti Iblei, burroni profondi, silenzi, non un fiume né un torrente.
Città pulite e non chiassose, l’orgoglio della “sicilianità” e poi le città barocche rinate dopo una terribile catastrofe più belle e razionali di prima, eterna metafora della attività umana che non si arrende e dopo la distruzione e la morte fa rinascere la bellezza e la vita.
Un viaggio stimolante nel suo mordi e fuggi un grazie ancora al Presidente Alfonso Marra, all’organizzatore Pasquale Terracciano, all’amico Umberto Riselli che con il dono delle sue numerosissime foto ci ha dato la possibilità di rivivere i momenti più significativi di ogni giornata.
Ercole De Cesare



